Montalto di Castro – Terreni ostaggio dei fotovoltaici, spariscono i frutti della terra vera energia della vita

C’è un fenomeno che sta letteralmente invadendo lo spazio degli annunci commerciali, è quello delle proposte per affitto di terreno agricolo

di Cristina Volpe Rinonapoli

MONTALTO DI CASTRO – “Puoi ottenere un canone da 2 mila a 3.500 euro per ettaro” di che si tratta? Della compravendita di terra, in nome e per conto del Dio della “transizione energetica” che si materializza sotto forma di pannello fotovoltaico a terra.

Il trend -foraggiato dai fondi del Pnrr, è un fenomeno nazionale, ma perché insistiamo su Montalto di Castro? Il comune tosco laziale, in termini energetici sembra- nel corso degli anni- letteralmente martorizzato, non solo per via di una centrale nucleare, sebbene denuclearizzata, che l’ha portato alla notorietà, per l’essere uno dei siti indicati di deposito dei rifiuti radioattivi, ma ironia della sorte- adesso giunge l’energia pulita, quella che punta alla salute, che non ti fa venire il tumore, ma a quale prezzo?

A parte quello indicato da un’eventuale rendita se converti il terreno, come recita uno dei tanti annunci, è salato: un territorio a vocazione agricola, rischia di cambiare la sua natura, accettando una mela avvelenata, perché se è vero che bisogna puntare ad un’energia pulita, è altrettanto vero che consumare suolo agricolo sacrifica la prima energia prodotta: il cibo.

Da Montalto a Viterbo è tutto il territorio della Tuscia che rischia di essere deturpato, ed è il grido di allarme che lancia Assotuscania: “La Tuscia sembra essere diventata il laboratorio italiano per l’Agenda 2030, destinata ad essere la grande fabbrica delle rinnovabili in Italia e una delle maggiori in Europa, con decine e decine di mega-pale eoliche già installate a terra e altre decine da installare, altre centinaia offshore da posizionare nel mare davanti a spiagge turisticamente e paesaggisticamente pregiate, e con oltre 7000 ettari di fotovoltaico che si mangiano suolo e paesaggio, agricoltura e sovranità alimentare.

Tutto ciò non servirà a sostituire le centrali elettriche fossili o i grandi impianti di compostaggio già esistenti, e si sommerà alla possibilità di ospitare il sito unico nazionale per i rifiuti radioattivi, senza che le popolazioni residenti siano in alcun modo coinvolte nelle scelte sull’utilizzo del territorio.”
Ma tornando a Montalto, nello specifico, il punto focale da cui partire è proprio il legame fra produzione alimentare ed il territorio. La produzione degli alimenti-del prodotto agricolo- in generale, è fortemente contestualizzata nel tessuto economico, sociale, e culturale. Qui, il luogo conta sia come cultura di consumo, sia per l’alimento specifico che ha un significato preciso legato ad eventi sociali, ricorrenze e feste religiose, nel corso degli anni la “Sagra del Melone”, piuttosto che quella dell’”Asparago verde” o la rassegna “Maremma d’Amare”, non solo hanno risaldato il legame nel territorio fra i suoi abitanti, ma attirato turisti e valorizzato i prodotti locali. Un’agricoltura basata sul concetto di biodiversità, lontana da quello delle monocolture, che da sempre ha dato occupazione, a Montalto ancora nei bar, a fine serata, arriva l’esercito di chi ha lavorato in campagna dalla mattina presto, e si sfumano i ruoli, che tu sia contadino o proprietario terriero si è “fatta la giornata” e poi con il fenomeno dei migranti, ci sono state famiglie montaltesi famose in Tunisia, in Marocco, un Paese che bene o male ha saputo accogliere, ed in questo periodo campi di broccoli con accanto la tenda per vendere prodotti appena raccolti.
Andare in qualche modo a minacciare questa conformazione significherebbe -con il tempo- cambiare l’antropologia e non solo il paesaggio.
Sotto i colpi della crisi economica e climatica, che rende la vita delle campagne sempre più complicata, arrivano le mele avvelenate, si può guadagnare convertendo il terreno in pannelli fotovoltaici, e gli annunci si accumulano, ma il prezzo, se nell’immediato paga, a lungo andare diventerà sempre più oneroso, perché una volta che il suolo è consumato, indietro non si torna.
In questo paradigma è sempre Assotuscania che spiega nero su bianco le eventuali conseguenze:
“Abbiamo letto recentemente che in aprile è previsto l’inizio dei lavori per la costruzione del mega-impianto fotovoltaico di Pian di Vico. In un sol colpo verranno cancellati irreversibilmente 250 ettari di fertile terreno agricolo e di paesaggio di grande pregio. L’impatto dell’impianto sarà enorme, perché insiste su una zona che è già compromessa da eolico industriale di altri comuni (effetto sommatoria) e perché si stanno moltiplicando richieste per altri megaimpianti sulla stessa area. Per rendere l’idea in concreto: parliamo di un’area pari a circa 350 campi da calcio che diventerà uno dei più importanti e vasti impianti fotovoltaici d’Europa (150 Mwp). Ma chi ne trarrà vantaggio? Non certo la Tuscia. Non certo il clima. Checchè se ne dica, gli studi dimostrano che l’impatto è minimo, trascurabile sia come apporto energetico che come riduzione delle emissioni. Non certo i produttori italiani, dato che i pannelli sono perlopiù di produzione cinese. Non certo l’occupazione nel territorio, perché gli impianti non necessitano di numerosa manodopera per la loro gestione e manutenzione. Scomparirà per sempre un pezzo di territorio agricolo, senza avere un impatto occupazionale e di ricchezza locale significativo.”
Montalto come tanti altri comuni della Tuscia lo dovrebbe pretendere di conservare la sua natura, di avere incentivi da parte dello Stato che rendano gli imprenditori agricoli, i proprietari terrieri meno vulnerabili, al punto da non cedere ad annunci, che fanno a gara, per convertire i propri terreni. Le amministrazioni locali, salvaguardare ed apporre gli opportuni distinguo, là dove si consuma il suolo, agricolo, paesaggistico, non si fa il fotovoltaico.
Il regista Francesco Rosi nel 1963 con “Le mani sulla città” dava vita ad una pellicola che era una spietata denuncia della corruzione e della speculazione edilizia dell’Italia degli anni sessanta, che gli valse il Leone D’oro al Festival di Venezia, Nastri d’Argento e svariate Nomination. Significativa è la didascalia del film che recita: «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce.»
Oggi se a cambiare il volto della campagna non è la speculazione edilizia, ma la cosiddetta “energia buona”, ed in qualche modo la realtà sociale ed ambientale che la produce, nel caso di Montalto di Castro e della Tuscia, tutta, dove il business del fotovoltaico si espande senza battute di arresto, la speranza è una ri -titolazione “Giù le mani dal Paese”.