Domani 5 maggio si festeggia la Pasqua Ortodossa

Il 5 maggio le Chiese ortodosse festeggiano la Pasqua, oltre un mese dopo i cristiani d’Occidente. Questioni di calendario, naturalmente, anche se sullo sfondo resta il sogno di arrivare un giorno a festeggiare tutti insieme.

Nel 2025 ricorre l’anniversario del Primo Concilio di Nicea, celebrato nel 325, e avrebbe come tema centrale l’individuazione di una data comune per la Pasqua.

Tanto più che per giochi di date l’anno prossimo la Pasqua cadrà per tutti i cristiani il 20 aprile. Papa Francesco ne ha parlato più volte definendo uno scandalo questa divisione e così il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I.

Il leader ortodosso è tornato sull’argomento più volte anche di recente invitando a pregare «il Signore affinché la celebrazione comune della Pasqua che avremo l’anno prossimo non sia una felice coincidenza, un evento fortuito, ma l’inizio della fissazione di una data comune per il cristianesimo occidentale, in vista del 1700° anniversario, nel 2025, della convocazione del primo Concilio ecumenico a Nicea, che tra l’altro affrontò anche la questione della regolamentazione del tempo della celebrazione della Pasqua. Siamo ottimisti perché c’è buona volontà e disponibilità da entrambe le parti, poiché la celebrazione separata dell’evento unico dell’unica Risurrezione dell’unico Signore è uno scandalo».

Come noto, e lo ricorda anche una nota del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani datata 27 ottobre 2022, a Nicea si stabilì una regola secondo cui «tutti i fratelli e le sorelle d’Oriente che fino ad oggi hanno celebrato la Pasqua con gli ebrei, d’ora in poi celebreranno la Pasqua in accordo con i romani, con voi e con tutti noi che l’abbiamo celebrata con voi fin dai primi tempi». Concretamente, come data si scelse la domenica successiva al primo plenilunio di primavera. Poiché fu anche deciso che la Pasqua doveva essere celebrata dopo la festa della Pesah ebraica, venne abbandonata la data comune di Pasqua tra cristiani ed ebrei.

Successivamente, nel XVI secolo, a complicare le cose, se così si può dire, arrivò l’introduzione da parte di papa Gregorio XIII del calendario gregoriano che riformava il calendario giuliano (promulgato da Giulio Cesare) seguito però ancora da molte comunità d’Oriente. Ne deriva uno sfalsamento di date, per cui, ad esempio, nel 2024 cattolici ed evangelici hanno festeggiato la risurrezione di Cristo il 31 marzo ì, le Chiese ortodosse lo faranno il prossimo 5 maggio.

Fatto salve le fortunate eccezioni, come appunto capiterà nel 2025, il problema rimane e continua a interpellare studiosi e leader religiosi. Quelli almeno favorevoli alla data comune. «La soluzione più semplice – ricorda ancora il Dicastero per l’unità – sarebbe senza dubbio prendere come giorno della morte di Gesù il 7 aprile 30, in modo che la Pasqua venga sempre celebrata la seconda domenica di aprile. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ha proposto di celebrare la Pasqua la domenica successiva al primo plenilunio di primavera; in tal caso, la città di Gerusalemme dovrebbe essere il punto di riferimento per il calcolo della luna piena. Un altro suggerimento degno di nota è quello del patriarca ecumenico Meletios IV (1921-1923), che riconosce e accoglie la precisione del calendario gregoriano e allo stesso tempo rispetta la data di Pasqua stabilita dalla Chiesa primitiva. Il calendario meleziano è quindi, almeno a prima vista, identico al calendario gregoriano, ma la data di Pasqua deve essere calcolata come se fosse ancora in vigore il calendario giuliano».

L’argomento è stato affrontato più volte nei secoli e il Concilio Vaticano II ne parla esplicitamente, in un’appendice alla Costituzione sulla Sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium” adottata e promulgata nel 1963. Due i criteri indicati per definire una nuova datazione. In primo luogo va bene «che la festa di Pasqua venga assegnata ad una determinata domenica nel calendario gregoriano» purché «vi sia l’assenso di coloro che ne sono interessati, soprattutto i fratelli separati dalla comunione con la Sede apostolica».

In secondo luogo, ricorda ancora il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, il Concilio dichiara la propria disponibilità anche a «introdurre nella società civile un calendario perpetuo», a condizione, ovviamente, che sia preservata e tutelata la settimana di sette giorni con la domenica.

Ora la guerra in Ucraina con i suoi riflessi negativi soprattutto all’interno del mondo ortodosso sembra allontanare la prospettiva di una ricerca più articolata sull’argomento, però spesso, proprio dalle crisi più nere nascono soluzioni insperate. E chissà che non sia questa la volta.