PERUGIA — A diciotto anni dall’omicidio di Meredith Kercher, l’Italia torna a interrogarsi su un’indagine che ha lasciato macerie giudiziarie e ferite civili. L’ex pm Giuliano Mignini rilancia: esisterebbe “un nome mai indagato”, un insospettabile fuggito all’estero subito dopo il delitto.
Parole pesanti, che riaprono un fascicolo mai davvero archiviato nella coscienza pubblica.
La giustizia ha prodotto esiti formali: Rudy Guede è l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio; Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti. E nel 2025 la Cassazione ha confermato per Knox la condanna a tre anni per calunnia contro Patrick Lumumba, pena già scontata, ricordando a tutti quanto devastanti possano essere gli errori delle prime ore.
Ma l’“esito formale” non basta a chiudere il conto con la verità sostanziale. Se oggi un ex magistrato parla di piste trascurate, il sistema deve spiegare perché certe informazioni non siano entrate nel perimetro processuale e se siano stati commessi errori d’indirizzo, di metodo o di comunicazione. L’ombra — pubblica, non solo giudiziaria — resta.
C’è poi il capitolo Guede, il dopo. L’uomo, libero dal 2021, è stato rinviato a giudizio nel 2025 con accuse di violenza sessuale, maltrattamenti e stalking ai danni dell’ex compagna; a dicembre 2023 gli era stato imposto il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico.
Un fatto di cronaca che interroga chi, nel nome del reinserimento, lo ha sostenuto: l’inclusione non è uno scudo morale, è un patto di responsabilità che pretende comportamenti all’altezza.
Questo nuovo giro di valzer tra rivelazioni, memorie difensive e santini mediatici impone tre cose chiare:
- Trasparenza totale: se esiste una nuova pista, la si tratti come tale, con atti verificabili, non come suggestione per anniversari. La verità processuale deve poter essere messa alla prova senza tabù né protagonismi.
- Umiltà istituzionale: l’errore iniziale che travolse Lumumba resta una vergogna nazionale. Lo ricorda la Cassazione: il danno reputazionale non si ripara con le scuse tardive. Serve memoria, protocolli migliori e formazione su interrogatori e prime fasi d’indagine.
- Reinserimento con controllo: quando chi ha scontato una pena finisce di nuovo nelle cronache per misure cautelari o rinvii a giudizio, lo Stato deve assicurare protezione effettiva alle potenziali vittime e verificare che i percorsi di reintegrazione non diventino alibi.
Non è “solo” un cold case di provincia diventato icona pop: è uno specchio delle nostre fragilità istituzionali. Meredith merita più di un rituale di ricorrenza: merita che la ricerca della verità non sia mai un esercizio di retorica, ma un dovere praticato con rigore, responsabilità e misura — in aula, sui giornali, e nelle piazze digitali.

