Il maxiprocesso per contaminazione da Pfas si è concluso con 140 anni di reclusione per 11 dirigenti dell’azienda Miteni, per disastro ambientale, avvelenamento delle acque e reati fallimentari
VICENZA – Il tribunale di Vicenza ha condannato in primo grado undici ex dirigenti dell’azienda chimica Miteni di Trissino (Vicenza), ritenuti responsabili di aver inquinato una vasta area del Veneto, la seconda falda acquifera più grande d’Europa con i Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche cancerogene definite “inquinanti eterni” per la loro capacità di accumularsi nell’ambiente e nel corpo umano.
La Corte d’Assise ha inflitto condanne superiori a quelle richieste dall’accusa: le pene vanno dai due anni e otto mesi fino ai 17 anni e mezzo, per un totale di 141 anni di carcere. Quattro le assoluzioni.
I Pfas sono sostanze chimiche usate fin dagli anni ’50 in numerosi prodotti industriali e di consumo: pentole antiaderenti, tessuti impermeabili, e molti altri
Sono anche detti “inquinanti eterni”, perché si accumulano nell’organismo umano, aumentando il rischio di gravi patologie e tumori.
La sentenza riconosce non solo il danno subito da migliaia di persone in Veneto, ma anche il dolo dell’azienda, che ha continuato a inquinare cosciente del danno che stava causando.
Gli imputati erano accusati a vario titolo di: avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.
Significativi anche i risarcimenti disposti per le oltre 300 parti civili riconosciute, pari a 75 milioni di euro in totale. Alla maggior parte delle persone fisiche però, quelle che hanno subito i danni peggiori di questo inquinamento, vanno solamente 15mila euro a testa, per un totale di circa un milione. Il risarcimento più importante andrà al ministero dell’Ambiente, che prende ben 56 milioni, e alla Regione Veneto, criticata in questi anni da molti cittadini e associazioni per non essere intervenuta tempestivamente a salvaguardia del territorio e della popolazione, ma lo stesso destinataria di sei milioni e mezzo.
Gli imputati si sono difesi dicendo che non esistevano leggi specifiche sui Pfas, ma l’accusa ha dimostrato che già dal 2006 la pericolosità di queste sostanze era nota.
Addirittura, nel 2008, la Miteni chiese di distruggere analisi che dimostravano una concentrazione di Pfas nelle acque 400 volte sopra la soglia di sicurezza.
Il problema però rischia solo di essere esportato altrove. Gli impianti di Miteni per la produzione di perfluorati, sostanze vietate in Europa, sono state venduti a un gruppo di aziende indiane, che conta di trasferire lì la produzione.
Con questa sentenza, per la prima volta, un tribunale ha riconosciuto in modo chiaro e inequivocabile la responsabilità penale di chi ha inquinato, applicando concretamente il principio del Testo Unico Ambientale per cui “chi inquina, paga”.
Un precedente importante per tutti i casi futuri di contaminazione industriale, che se verrà confermato in appello segnerà un segnando un punto di svolta.
(Irpimedia)