Duro atto d’accusa del direttore de La Verità: “Dalle carte dell’inchiesta di Perugia emergono nomi che certo lì non ci dovrebbero stare”
ROMA – ”Stiamo sostanzialmente svelando che i magistrati non sono molto diversi dagli italiani, intesi come politici o in generale, che si danno da fare per cercare di migliorare una posizione e lo fanno non nel modo ”tradizionale” previsto dalle norme, facendo la domanda e aspettando la risposta, ma con telefonate, in qualche caso pressioni, relazioni, e ciò dimostra che l’organo di autogoverno della magistratura non funziona esattamente come ci immagineremmo, totalmente al di sopra delle parti, ma totalmente al di sotto delle correnti.
Nel Csm, alla fine, a decidere nomine, avanzamenti e quant’altro sono le correnti”. A dirlo all’AdnKronos Maurizio Belpietro, direttore de ”La Verità”, quotidiano che in questi giorni sta pubblicando le intercettazioni dell’inchiesta di Perugia che indaga, fra gli altri, su Luca Palamara, ex consigliere del Csm e pm romano, ora sospeso, nonché ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
”Dalle carte dell’inchiesta di Perugia emergono nomi che certo lì non ci dovrebbero stare – spiega Belpietro -, persone di grande responsabilità, persone che hanno ruoli istituzionali, e ciò colpisce molto, colpisce la commistione con la politica. Quando tempo fa scoppiò lo scandalo, sembrò che a essere coinvolte fossero solo due o tre figure, venne fuori che qualcuno aveva partecipato a delle cene, e attenzione, non c’è nulla di penalmente rilevante, neanche di particolarmente illecito a partecipare a una cena, certo poi ne è nato uno scandalo che ha portato alle dimissioni di molti membri del Csm”.
“Ma qui ora – osserva Belpietro – viene fuori che in realtà è il sistema che non funziona, tutto il sistema, è la stessa organizzazione del Csm che non funziona, non soltanto le nomine, ma anche il meccanismo con cui si scelgono i rappresentanti del Csm, perché è un meccanismo che ovviamente prevede la costruzione di un consenso, la costruzione di rapporti politici, perché di questo si tratta, di relazioni che sono sindacal-politiche, e questo non va bene, perché si dice che il magistrato deve essere autonomo da tutto, dalle pressioni, dalla politica e così via, ma non è autonomo dalle correnti, e quindi da un vincolo sindacale che produce ciò che stiamo vedendo”.
Il quotidiano di Belpietro ha scritto che “sulla nomina del vicepresidente del Csm, nonostante le chat che abbiamo pubblicato, nessuno fiata”.
Su questo punto, il direttore de ”La Verità” evidenzia che ”dalle intercettazioni emerge un panorama da cui si capisce che la politica e uno dei sindacati stessi della magistratura si sono dati da fare. Tanto è vero che, vado a memoria, mi pare ci sia anche un’intercettazione dove uno dice ”l’ho messo lì io” e ”quindi adesso mi deve rispondere”. E allora mi chiedo, che immagine vuole che ci facciamo noi cittadini, nel complesso, di uno che, magari a torto, possa rivendicare una cosa del genere su una posizione così importante come quella di vicepresidente della magistratura che sta sotto soltanto al capo dello Stato?”.
Luca Lotti e Cosimo Ferri, ha scritto ancora ”La Verità”, non si interessarono solo della nomina di Ermini alla vicepresidenza del Csm ma anche del cambio al vertice della procura di Roma, sostenendo il procuratore generale di Firenze Marcello Viola.
Intorno alla nomina del nuovo procuratore di Roma, dice Belpietro, ”c’è stata una guerra per scegliere l’uno piuttosto che l’altro, ma si capisce soprattutto che tutto nasce dalla procura di Roma, che è sempre stata, fin dalla Prima repubblica, la procura più importante, la procura chiave, perché da lì passano tante cose che riguardano la politica”.
“Tutta questa vicenda deflagra per questo motivo – ragiona Belpietro -, perché c’è di mezzo la procura di Roma, e allora si comincia a dire che quello aveva il fratello così, quell’altro il cugino in quell’altro modo, lo zio, il nonno, pur di bloccare la nomina o di influire sulla nomina. Ma è normale? Io pensavo che le nomine si facessero sulla base dei titoli, sulla base dei risultati raggiunti, non sulla base delle pressioni delle correnti o degli interessi della politica, e invece, anche nella magistratura, così come in tanti organi dello Stato, in tante aziende partecipate dallo Stato, le nomine vengono fatte per sistemi e relazioni”.
Di una cosa Belpietro si dice sicuro: ”Io credo che, e penso sia la cosa che più conta, i primi ad essere indignati dovrebbero essere e sono gli stessi magistrati. La maggior parte di loro, e ne conosco tanti, sono persone serie, scrupolose, perbene, alieni da tutto questo mondo di traffici, politica, pressioni, sindacati, la maggior parte dei magistrati sono persone che lavorano, ecco perché i primi a essere stupefatti e scandalizzati sono loro.
Ieri ho ricevuto la telefonata di un magistrato che conosco, a cui qualcuno aveva girato gli articoli usciti su ”La Verità”, ed era il primo ad essere sbalordito da queste storie e a dire che è incredibile. Ecco, io credo che la maggior parte dei magistrati oggi debba far sentire la propria voce e dire che queste cose qui non devono più succedere, dobbiamo cambiare, a prescindere dalle inchieste. Qui siamo di fronte a un sistema che non funziona, e la magistratura deve avere il coraggio di autoriformarsi, e visto che c’è un organo di autocontrollo, le prime proposte per cambiare questo sistema dovrebbero essere quelle dei magistrati”.
Qualche reazione fra i magistrati comincia ad emergere: ”Sì, ci sono delle tiepide reazioni, ma mi stupisce il fatto che siano abbastanza limitate, io le vorrei più forti. Ma l’altro elemento importantissimo si chiama politica, quella politica che si è indignata un anno fa, oggi è silente, nessuno dice nulla, sembra quasi che queste vicende oggi non siano più interessanti. Ma come mai lo erano quando c’era in ballo la procura di Roma e adesso non lo sono più? Forse all’epoca c’erano altri interessi? Forse ci si indigna a comando? Fra l’altro questa vicenda lambisce in qualche modo anche il ministero della Giustizia, ci sono delle intercettazioni fatte dalla magistratura che imbarazzano via Arenula, e invece il ministero sta zitto come se non lo riguardasse, anche questo è un fenomeno curioso. Aggiungo, fra l’altro, che mentre le intercettazioni che uscirono un anno fa erano secretate, quindi in teoria non avrebbero dovuto uscire, queste qui sono depositate, sono agli atti, pubbliche. Quindi anche molti altri giornali potrebbero interessarsene, o no? Capisco che sono alle prese col Covid e con le conferenze stampa del presidente del Consiglio, però questa è una faccenda che riguarda gli italiani, riguarda l’opinione pubblica.
Fra i vari nomi emersi dalle carte dell’inchiesta di Perugia e pubblicati da ”La Verità” c’è anche quello (estraneo alle indagini) del Consigliere togato del Csm Giuseppe Cascini (corrente Area), sul quale il quotidiano di Belpietro ha riportato le parole di Palamara scrivendo che, secondo lui, ”il mandante” di un articolo del Fatto Quotidiano che svelava l’indagine sul suo conto ”fosse Cascini”. Lo stesso quotidiano trascrive l’intercettazione del 4 maggio 2018 in cui Cascini chiede a Palamara di ”arginare l’onnipresenza mediatica di Piercamillo Davigo”.
”Ho letto – dice Belpietro – che Cascini annuncia azioni in sede civile, tutto legittimo, ognuno può ricorrere alla magistratura se si sente diffamato, però quello che è stato pubblicato è depositato agli atti. Io non do giudizi su nessuno, se non su un sistema che non mi piace, dopodiché, perché non dovremmo pubblicare questi atti? Perché si pubblica una cosa che magari riguarda un politico e non si deve pubblicare invece quella di un magistrato? Mi risulta, fra l’altro, che i colloqui dei politici hanno anche delle guarentigie previste dalla Costituzione, quelli dei magistrati no, tanto è vero che il telefono di Palamara è stato intercettato, tanto è vero che nessuno si è indignato perché la magistratura ha disposto anche la trascrizione delle conversazioni che i giornalisti hanno fatto con Palamara, ci sono delle telefonate di tanti colleghi, uno anche de ”La Verità”, e noi abbiamo pubblicato anche quelle. E allora perché ci deve essere un problema su quelle dei magistrati?”.
Può essere che, aggiunge Belpietro, ”a questo punto ci si sia resi conto che non era solo un caso che riguardava una vicenda limitata a due o tre persone, ma anche a tante altre persone, del resto si è dimesso un procuratore generale della Cassazione per alcuni colloqui pubblicati. Forse i colloqui valgono solo in un caso? No, valgono per tutti”. Contattato dall’AdnKronos con un messaggio via WhatsApp per un commento su quanto pubblicato da ”La Verità”, Cascini ha risposto: ”Grazie, ma non intendo commentare”.
Ieri ”La Verità” ha pubblicato anche le intercettazioni che riguardano l’ex procuratore generale di Reggio Calabria e neo Capo del Dap Dino Petralia (anche lui estraneo all’inchiesta), il quale, scrive il quotidiano di Belpietro, ”si era rivolto al pm Luca Palamara per tentare di coprire la poltrona di capo della procura di Torino lasciata da Armando Spataro”.
All’AdnKronos Belpietro spiega: ”Non c’è nulla di rilevante dal punto di vista penale, sicuramente, ma neanche in relazione a illeciti di altra natura, il punto, però, ripeto, è il sistema. Noi un anno fa ci siamo indignati, oggi scopriamo che il sistema funziona così, è il sistema che non va bene. C’è chi si è dimesso per aver partecipato a una cena, magari senza neanche aver parlato, ora qui guardiamo in faccia la realtà, e si scopre che di telefonate e messaggi ce ne sono tanti. La riflessione, dunque, non riguarda il singolo magistrato ma il modo in cui vengono fatte le nomine, come viene composto il Csm, riguarda il ruolo delle correnti, che sono di fatto dei sindacati politici e fanno gli interessi non di una categoria in generale, ma dei loro tutelati, e questo significa una cosa, che si fa un mercanteggiamento e si tenta di favorire delle nomine in base a dei criteri che non sono quelle professionali ma quelli di appartenenza”.
In conclusione, il direttore de ”La Verità” si sofferma su quelli che chiama ”giornalisti maestrini”. ”Mi domando – dice – come mai i cronisti giudiziari più famosi, quelli che lavorano per i giornali più noti, non scrivano su queste vicende neanche una riga. Lo dico perché di solito sono sempre lesti a dare lezioni e a fare i maestrini. Ora, io lo so come si fa questo mestiere, so che si telefona, che si cerca di blandire le fonti e così via, ma in qualche caso si va un po’ oltre, si capisce che alcune notizie vengono date in un certo modo e altre in modo diverso. Alcune addirittura scompaiono, e qualche volta si fanno anche pressioni di un certo tipo. Ecco, qualche riflessione la dovrebbero fare anche i giornalisti, lesti a pubblicare alcune cose e non lesti a pubblicarne altre. Io pubblico tutto quello che trovo, qualche volta riguarda anche persone che conosco e con cui magari poi litigo, però che possiamo farci? È il nostro mestiere, e il nostro mestiere vorrebbe, uno, che stessimo distanti dalla politica e anche da certe organizzazioni o sindacati e così via, e due, che pubblicassimo tutto, a prescindere dalle ricadute che ci possono essere”.