Coronavirus Lazio, posti letto, ambulanze, fondi: le previsioni errate di luglio che hanno portato al collasso

ROMA – Le corsie piene, i pronto soccorso trasformati in dormitori, le ambulanze ridotte a rifugi di fortuna impongono oggi di compiere un balzo indietro nel tempo e tornare al 21 luglio scorso.

È una bella giornata e la task force dell’assessorato alla Sanità segnala quattro nuovi casi Covid in città. Lo stesso giorno il Presidente della Regione Zingaretti firma il “Piano di riorganizzazione della rete ospedaliera in emergenza Covid- 19”.

Quando il documento viene messo a punto, la pandemia per il Lazio è poco più di un racconto dell’orrore: i casi confermati sono 7.851 e 766 i decessi. Tutta un’altra storia rispetto alle medie odierne che viaggiano verso i 3mila casi e 50 morti al giorno.

È in quel momento però che la Regione è chiamata a pensare al domani, o meglio a quali risorse mettere in campo per farsi trovare pronta all’urto della seconda ondata, sulla quale tutti sembrano d’accordo. Il faro di riferimento è il decreto legge 34 approvato il 19 maggio e trasformato in legge il 17 luglio scorso.

A guardarlo oggi, si tratta di un faro inadeguato così come inadeguata è stata la risposta della Regione che – invece di andare oltre le misure previste su scala nazionale – si è limitata a rispettare uno standard inutile rispetto alle reali esigenze sanitarie di oggi.

Seguendo le tabelle del documento, si scopre che la Regione ha previsto allora l’inserimento nei grandi ospedali di 282 nuovi posti letto in terapia intensiva e di 412 posti in semi- intensiva. Spiccioli per grandi strutture come il San Filippo Neri, al quale sono stati assicurati fondi per 10 nuovi posti letto, lo stesso numero del Sant’Eugenio, del Policlinico di Tor Vergata, del Sant’Andrea o ancora del Pertini, tutti ospedali che oggi registrano un afflusso considerevole di malati. E non stupisce che all’Umberto I i positivi vengano gestiti all’interno delle ambulanze, se si considera che sono appena 26 i nuovi posti letto in terapia intensiva previsti dal piano di luglio.
Lo stesso discorso vale per le autolettighe, trasformate quando necessario in reparti su strada. Il piano della Regione prevedeva l’acquisto di 10 ambulanze per la città di Roma, e di un solo mezzo per ognuna delle altre province laziali.

Si spiega anche così perché ieri, a piazza Vescovio, una donna investita da un’automobile sia rimasta tre ore sdraiata in strada in attesa di un’autombulanza. Il sistema è allo stremo, ma non è tutta colpa del virus. Il calcolo degli interventi – ancora una volta – è stato fatto per difetto. E a poco sono valsi gli investimenti fatti: 106 milioni di euro per la realizzazione dei nuovi posti letto; 12 milioni di euro per gli interventi di adeguamento strutturale degli ospedali; svariati milioni di incentivi riconosciuti al personale, dai dirigenti delle Asl ai medici ospedalieri.

Numeri delle previsioni che oggi si scontrano con i numeri della realtà. Realtà fotografata da un altro documento della Regione, il bollettino ufficiale del 6 novembre scorso, dove si legge: “Nelle ultime tre settimane è raddoppiato il numero di focolai passando dai 246 della settimana 5- 11 ottobre ai 455 dell’ultima settimana. La rete ospedaliera ha risentito dell’andamento crescente dei nuovi casi. Gli accessi nelle aree di pronto soccorso sono aumentati di quattro volte rispetto alla fine di ottobre. Questa è la fotografia dell’oggi, lontana anni luce da quelle previsioni che il 21 luglio scorso, di fronte a quei 4 casi pescati in tutta la città, sembravano sufficienti per arginare l’arrivo della seconda ondata.

 

fonte: repubblica.it