Carmine Masiello, Paolo Riccò, Gianfranco Paglia e alcuni parà di allora hanno rievocato quell’atto di guerra che coinvolse anche giovani militari di leva in missione di pace circondati nel ceckpoint “Pasta”
ROMA – E’ stata una mattina di grande commozione quella vissuta alla Sala Tevere della regione Lazio. Dopo trent’anni e qualche giorno da quel 2 luglio del 1993 finalmente qualcuno ha potuto rendere onore a quei militari morti, feriti nel corpo e nell’anima in quello scontro a fuoco che avvenne in quella ex fabbrica di lavorazione del grano conosciuta come ‘checkpoint Pasta’.
Battaglia ricordata per essere stata la prima che ha visto impiegati i militari dell’esercito italiano dalla fine della Seconda guerra mondiale, fu uno scontro molto cruento in cui persero la vita tre soldati italiani e moltissimi altri furono gravemente feriti.
La XV compagnia paracadutisti «Diavoli Neri», grazie al durissimo addestramento a cui li aveva sottoposti il loro capitano, il generale Riccò, fu l’unica compagnia in grado di rispondere all’attacco delle milizie somale. Paolo Riccò è Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il coraggio dimostrato a Mogadiscio e grazie al suo lavoro è stato possibile ricostruire attraverso documenti e testimonianze inedite la vera storia di quei tragici giorni.
Un salto indietro di trent’anni quando le forze armate italiane del contingente Onu in Somalia si ritrovano in battaglia, a Mogadiscio, a combattere una guerra rimasta nella storia.
L’evento è stato promosso, e di questo lo ringraziamo, da un ex parà della Folgore, oggi vice presidente del consiglio della regione Lazio, Pino Cangemi.
Momenti di grande commozione in una sala piena zeppa di reduci e ufficiali di ogni reparto che possa venirvi in mente. C’erano anche le crocerossine che tanto hanno dato, anche in termini di vite umane, sui campi di battaglia.
Visibilmente commosso in sala anche Marcello de Angelis che nel 2008, durante una seduta della Camera dei Deputati (allora era deputato del Pdl) chiese la parola al presidente della Camera Gianfranco Fini e ricordò per la prima volta i caduti di quella battaglia scandendo i loro nomi tra gli applausi unanimi e commossi dell’intero emiciclo.
“La Regione Lazio non è soltanto sanità, ma un’Istituzione che ha il dovere di veicolare valori fondamentali. Per questo è stato importante commemorare, a distanza di 30 anni, la missione italiana in Somalia “Ibis”, all’interno di “Restore Hope”. Nel commemorare i nostri caduti mi preme ricordare la costante attenzione all’essere umano, la capacità di creare empatia, leggere i bisogni, stabilire un dialogo forte con le comunità e i loro leader delle nostre missioni di pace. Siamo lieti come Regione di esserci fatti megafono di questi principi”. Così si è espresso il governatore del Lazio, Francesco Rocca.
“Quella in Somalia è stata un’operazione di grande umanità, professionalità e attualità che, ancora oggi, ci fa interrogare sul sistema della multilateralità – ha aggiunto Rocca – Non c’è stata una volontà internazionale di risolvere determinate crisi. La Somalia è sull’orlo della carestia, in molti casi non c’è accesso umanitario”.
“È doveroso da parte del nostro Paese ricordare chi ha dato la vita per tenere fede al giuramento reso. Bisogna mantenere viva la memoria di chi non c’è più”. E’ la testimonianza unanime del Gen. di Corpo d’Armata S. Capo di Stato Maggiore della Difesa, Carmine Masiello, del Gen. di Divisione Rappresentante Militare Italiano presso Shape, Paolo Riccò e del Tenente Colonnello Ruolo d’Onore, Gianfranco Paglia medaglia d’oro vivente al Valor Militare.
A far da cornice all’evento, un video reportage di quei tragici momenti che, come ha dichiarato il vice presidente del consiglio regionale Giuseppe Cangemi, “raccontano il sacrificio dei nostri caduti in quella sanguinosa battaglia e tutti noi abbiamo un debito di riconoscenza verso coloro che si sono impegnati e ancora si impegnano in missioni volte a ripristinare la pace e costruire stabilità. Voglio ringraziare, pertanto, tutti i militari che servono la nostra Patria e le nostre Istituzioni, e tengono alto il Tricolore nel mondo, mettendo anche a rischio la propria vita per contribuire a portare pace, sicurezza e stabilità negli scenari più complessi”.
“Una missione italiana che si è svolta sotto l’egida dell’Onu per portare la pace in una terra lontana dilaniata dalla guerra civile, per restituire la speranza e contribuire con un impegno internazionale alla stabilizzazione di un’area già allora, e oggi ancor di più, geo-strategica”. Lo ha detto Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa e senatrice di Fratelli d’Italia, intervenendo al convegno, promosso dalla regione Lazio, per ricordare i 30 anni della missione in Somalia ‘Restore Hope’.
“Era il 2 luglio 1993 e, a Mogadiscio, l’esercito italiano ha combattuto la sua prima vera battaglia dopo il secondo dopoguerra.
Nello scontro a fuoco del ‘check point Pasta’ i nostri militari agirono con coraggio, al fianco delle forze speciali, in un ambiente complesso e ostile. Nelle ore di combattimento si susseguirono innumerevoli atti di eroismo dettati dall’onor militare e dal profondo senso del dovere”, ha sottolineato l’esponente dell’esecutivo ricordando il sacrifico di Andrea Millevoi, Stefano Paolicchi e Pasquale Baccaro, decorati con Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
“Nei loro confronti e verso tutti i caduti – ha spiegato ancora Rauti – abbiamo un debito perenne di riconoscenza. Dobbiamo mantenere viva la memoria e custodirla con ostinazione e orgoglio anno dopo anno. Un dovere morale al quale non possiamo venire meno e anche un impegno di pace al quale non vogliamo e non dobbiamo sottrarci”.
Per la sottosegretaria, “la missione in Somalia ha avuto anche un grandissimo valore umanitario: si interveniva per restituire una speranza al popolo somalo ridotto alla fame e stremato dalla guerriglia interna. Anche in questa missione di peace keeping, come in tutte le nostre missioni internazionali, ci siamo impegnati come costruttori di pace e di stabilità. Esiste un modello tutto italiano di cooperazione civile e militare che ci contraddistingue per l’empatia e la professionalità con cui i nostri militari entrano in contatto con le popolazioni, riuscendo ad interpretarne i bisogni.
Anche questo approccio rende le missioni internazionali uno strumento forte di indirizzo della politica estera”.
“La sicurezza dei nostri uomini e donne è una priorità. Quello che sta accadendo in Niger è il segno evidente della guerra ibrida che si combatte sullo scacchiere internazionale. L’Africa è fondamentale per ogni futuro scenario e dobbiamo rivolgere a questo continente un’attenzione rispettosa e strategica”, ha concluso Rauti.