Viterbo – La lettera-denuncia dei detenuti del “Mammagialla” dopo la morte di un compagno: «Si poteva salvare»

Anastasìa : “Nessuno vuole fare il medico in quel carcere”

VITERBO – La  morte di un detenuto e un tentato suicidio nel carcere di Viterbo, ha portato i detenuti ha intraprendere uno sciopero pacifico. “Il vero motivo della protesta, – scrive il quotidiano Il Dubbio –  ora reso noto dai detenuti, stessi tramite una durissima lettera che Il Dubbio ha potuto visionare, è di richiamare l’attenzione sulla loro difficile condizione e sulla mancanza di rispetto per i loro diritti fondamentali. La denuncia riportata in una lettera indirizzata alla direttrice del carcere e giunta anche al Garante nazionale delle persone private della libertà, è volta a sottolineare una serie di gravi problemi che metterebbero in pericolo la salute dei detenuti stessi.

I ristretti della sezione del carcere Mammagialla di Viterbo hanno rivelato che ad innescare questa protesta è stato il rifiuto di fornire cure mediche a un detenuto che aveva vomitato sangue per tre giorni consecutivi. La mancanza di assistenza medica ha spinto i detenuti a non rientrare nelle loro celle per cercare di ottenere aiuto per il compagno malato. Questo episodio evidenzierebbe una grave mancanza di rispetto per il diritto fondamentale alla salute. Inoltre, i detenuti lamentano un deterioramento generale delle condizioni nel carcere di Viterbo durante gli ultimi due anni, paragonandolo a un “gulag stalinianoda “dove si entrava vivo e non si usciva nella stessa modalità. La richiesta principale dei detenuti – prosegue l’articolo –  è il rispetto dei loro diritti alla salute e all’assistenza medica, che sembra essere stato negato a causa dell’incompetenza e della mancanza di volontà di alcuni operatori sanitari. Purtroppo, eventi successivi hanno confermato la validità delle loro preoccupazioni, con un tentato suicidio e la tragica morte di un detenuto bengalese, chea detta dei detenuti – era stato precedentemente segnalato come ammalato, ma non curato. La morte del ristretto bengalese è stata classificata come “naturale”, ma i detenuti sostengono che con cure adeguate avrebbe potuto essere salvato. Inoltre, un altro detenuto è deceduto nonostante avesse solo pochi mesi di pena residua e non fosse quindi socialmente pericoloso. Infine, – nella missiva –  i detenuti esprimono comprensione nei confronti degli agenti penitenziari, sottolineando che anch’essi sono vittime di un sistema carcerario malato. Tuttavia, chiedono che le loro gravi preoccupazioni non vengano semplicemente sopite mediante i soliti trasferimenti dei detenuti ritenuti scomodi. La denuncia dei detenuti del carcere di Viterbo è un grido disperato per il rispetto dei diritti umani. 

È quindi fondamentale che le autorità competenti rispondano prontamente per verificare queste accuse e intraprendano azioni concrete per migliorare la situazione di un carcere che è già finito al centro della cronaca“.

Nell’ articolo viene ricordato che “Mammagialla è un istituto sotto la lente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti e delle Punizioni Inumane o Degradanti ( CPT). Già tre anni fa si era registrata un’allarmante escalation di episodi violenti verificatisi sia tra i detenuti sia tra detenuti e personale, nonché di comportamenti autolesionisti dei detenuti. Tale involuzione è attribuita alla recente chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e alla mancanza di posti presso le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ( REMS), nonché alla difficile interazione tra detenuti di diverse nazionalità. Lo scorso 25 luglio, ascoltato in audizione dalla settima commissione del consiglio regionale, il Garante regionale Stefano Anastasìa ha denunciato che nessuno vuole fare il medico in quel carcere. Un’analisi che è stata in qualche modo confermata da Simona Di Giovanni, direttore amministrativo della Asl di Viterbo, la quale ha riferito che gli avvisi per l’assunzione di nuovo personale sono andati deserti e che la teleradiologia e la telecardiologia sono già attive nel carcere viterbese, ma non è possibile implementare altri ambiti per problemi legati alla fibra ottica. In poche parole, nessun dottore pare disposto a prestare servizio nella casa circondariale, su cui già grava la crisi del personale di polizia penitenziaria“.

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