L’inchiesta – Latina, il caso Iannotta. Dall’arresto alla confisca tutte le verità nascoste (Parte 1)

Sentenze stravolte, testimonianze volutamente trascurate, verbali falsificati, gravi violazioni di legge che evidenziano un solo fine: distruggere la vita di un uomo e di tutta la famiglia

LATINA – Non sarà facile raccontare la storia giudiziaria di Luciano Iannotta ma ci proveremo perché la verità e la Giustizia devono avere la meglio sulle storture del sistema giudiziario italiano.

Abbiamo deciso di fare un qualcosa di estremamente coraggioso. Scrivere contro i giudici ci espone a rischi.

Siamo però consapevoli che difronte alla verità non ci saranno lobby e corporazioni in grado di difendere una sentenza di confisca basata su falsi presupposti e dove la verità viene abilmente schivata per raggiungere un solo obiettivo. Togliere la vita civile a chi oggi, in spregio dei tre gradi giudizio, è ritenuto colpevole a prescindere.

Luciano Iannotta rimane coinvolto in una maxi inchiesta che lo vedrà finire in carcere con più capi di imputazione. Tra questi un sequestro di persona che non sono state sequestrate.

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L’utilizzo di un’arma da fuoco frutto dell’immaginazione di chi captava i telefoni e mai ritrovata.
E finire con una delle più infamanti delle accuse e cioè aver servito un panino col prosciutto a detta del carabiniere “montagnolo” ed aver emesso uno scontrino che riportava “panino con Parma“, e la cosa più sconfortante come risulta agli atti dalle testimonianze depositate ma completamente ignorate dal tribunale di prevenzione a fare questa denuncia per un prosciutto errato sia stato un carabiniere che ha minacciato di morte il padre di Luciano Iannotta se avesse denunciato la collusione con criminalità locale degli stessi militari.

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Al di là di ogni singola contestazione che andremo noi stessi a revisionare carte alla mano tutto a fine ma allo stesso tempo inizio il 23 settembre scorso quando ad eseguire il provvedimento del Tribunale Sezione Misure di Prevenzione di Roma sono stati gli investigatori del servizio centrale anticrimine della Polizia e della divisione anticrimine della questura di Latina.

I beni che entrano così nel patrimonio dello Stato, perché considerati di provenienza illecita, sono costituiti da beni riconducibili a Iannotta, direttamente o a suoi prestanome sono oltre che beni materiali, mobili e immobili, assetti societari e rapporti finanziari.

Si tratta di una impresa individuale, una fondazione, la totalità delle quote e dell’intero patrimonio aziendale di 37 compagini societarie, di cui 4 ubicate nel Regno Unito e 2 in Moldavia, di 119 fabbricati e 58 terreni, 57 veicoli, e 72 rapporti finanziari, per un valore complessivamente stimato dalla polizia di circa 50 milioni di euro ma, leggendo quando riporta l’amministrazione giudiziaria nelle varie relazioni depositate agli atti pare siano non più di 19 milioni, mentre quanto riportate dai CTP sembra addirittura che il valore vada in negativo, ma insomma il popolino si chiede, quante il valore che andrebbe a finire nelle casse dello Stato?

L’iniziativa promossa dal Tribunale di Prevenzione di Roma rientra nella fattispecie aspramente condannata pochi giorni fa dalla Corte Europea che ha chiesto, per la seconda volta nel giro di un anno all’Italia di applicare le garanzie massime della libertà dell’uomo.

Viene invocato anche nel procedimento di prevenzione la presunzione di non colpevolezza, garantita dall’articolo 6, comma 2 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo e, in Italia, dall’articolo 27 comma 2 della Costituzione.

Ovviamente il Tribunale di Prevenzione di Roma non ne tiene conto. Anzi. Quando si trova davanti a reati commessi e ammessi in sede dibattimentale dai custodi si guarda bene dal segnalarli alla Procura competente (caso Iannotta).

Nel 2017, infatti, i giudici europei avevano dettato un principio destinato ad avere ricadute molto più vaste dell’angusto ambito del casus decisus, scrivendo che le norme in materia di prevenzione, pur non avendo natura penale, erano tuttavia di matrice sanzionatoria e, dunque, soggiacevano – ai fini di quello scrutinio – ai principi di accessibilità del loro contenuto e di prevedibilità della reazione ordinamentale.

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In molti avevano salutato quella decisione come un approdo iniziale, ma decisivo, nel percorso di allineamento delle misure di prevenzione agli statuti costituzionali e convenzionali delle pene, secondo una assimilazione concettuale che si presentava frutto ineludibile di quelle modifiche legislative che avevano snaturato le prime.

Con il “pacchetto sicurezza” del 2008, infatti, era stata introdotta la possibilità di irrogazione della confisca di prevenzione disgiunta, rispetto alla misura personale. Riforma che aveva svincolato la ablazione da qualsiasi prognosi di futura pericolosità del proposto, così privandola della sua – apparentemente irrinunciabile – natura preventiva per avvicinarla ad una reazione ordinamentale di tipo più tipicamente punitivo/ sanzionatorio.

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Da allora, più volte il Giudice Convenzionale, la Cedu appunto, era stato chiamato a pronunciarsi sulla rispondenza di un simile istituto ai principi fondamentali della Convenzione europea dei Diritti umani e, tutte le volte, era rimasto persuaso dalle argomentazioni del governo italiano, che aveva perorato l’irrinunciabilità della prevenzione a fronte di peculiari fenomeni criminali che imperversavano nella Nazione e, sotto altro aspetto, aveva sostenuto la perdurante natura preventiva degli strumenti reali, negandone la natura di actiones in rem.

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Nell’ambito del giudizio di primo grado durato circa 18 mesi sul caso Iannotta, sono stati violati tutti i diritti elementari della difesa in ordine all’accesso ad atti e documenti finalizzati utili a dimostrare l’innocenza degli indagati pregiudicando in modo palese anche il processo di prevenzione parallelo che d’ufficio ha ritenuto lo stesso Iannotta colpevole al di là di quello che sarà l’esito del terzo grado di giudizio.

Il sequestro di prevenzione è stato notificato alle persone e società coinvolte nell’inchiesta Dirty Glass in data 08.02.22 dando un termine di controdeduzioni entro il 21.03.22, ma una anomala autorizzazione di accesso agli atti viene rilasciata solo a MAGGIO 22.

4-ESITO GUARDIA DI FINANZA 22.06.2020

Già qui la prima anomalia. I documenti contabili, corrispondenze, fatture e così via viene accordata tre mesi dopo il sequestro preventivo con una discriminante e incompatibile con il lavoro delle difese e cioè l’accesso ai locali con i scatoloni posti sotto sequestro solo in presenza di personale autorizzato di polizia giudiziaria, amministratore giudiziario e parte interessata.

Una metodologia improbabile che ha consentito di poter estrarre da un minimo di 50 ad un massimo di 100 pagine per ogni seduta calendarizzata.

Sorvoliamo sulle distanze, gli orari e tutto il resto perché servire uno spazio enciclopedico per narrarlo.

Come se ciò non bastasse 13 scatoloni zeppi di documenti ritenuti rilevanti dalle difese posti sotto sequestro e inaccessibili, non sono mai stati messi nella disponibilità degli avvocati della difesa, tenuti nascosti per oltre 2 anni e mai utilizzati, in chissà quali uffici della Questura di Latina.

Per rendere l’immagine più chiara a chi legge va osservato che, solo nella stanza uso archivio, sono stati stimati circa 1 milione di atti e documenti.

 

Mentre nell’intero palazzo direzionale gestito dall’amministrazione giudiziaria sono stati stimati altri 5 milioni di atti e documenti oltre a quello contenuto nei supporti informatici, ebbene con tale modalità la difesa dal mese di febbraio 2022 ha avuto a disposizione poco più di un mese per fare delle controdeduzioni. Solo a maggio 22 gli viene concessa una soluzione che gli avrebbe consentito di avere a disposizione la documentazione per difendersi in appena 576 ANNI.

Costringendo le difese a ricorrere a fonti pubbliche per poi vedersi leggere nello stesso decreto di confisca che le stesse (INPS -AGENZIA DELLE ENTRATE) sono inattendibili.

– SEGUE

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