Arrestata l’ex magistrato Silvana Saguto: condannata a 7 anni e 10 mesi per corruzione

Gli avvocati: “va scarcerata, sta male e l’arresto è stato una forzatura”

L’ex giudice Silvana Saguto dovrà andare in carcere. Nella giornata di giovedì 19 ottobre è stata condannata a 7 anni e 10 mesi per corruzione nell’ambito del processo della gestione dei beni confiscati alla mafia.

Il primo ricorso è già stato presentato, il secondo lo sarà lunedì. Secondo la difesa, Silvana Saguto e il marito Lorenzo Caramma stanno male, non potevano essere arrestati e devono essere scarcerati. Ed ancora: l’ordine di arresto è stata una forzatura della Procura generale di Caltanissetta. Si può così sintetizzare la linea difensiva degli avvocati Ninni Reina e Antonio Sottosanti.

L’ex magistrato condannata per lo scandalo dei beni confiscati si trova nella sezione femminile del carcere Pagliarelli di Palermo. Al momento è in una cella singola. Ci sono anche motivi di sicurezza visto che con la sua attività giudiziaria ha colpito Cosa Nostra. Sono tanti i provvedimenti di arresto e sequestro che ha firmato prima da giudice per le indagini preliminari e poi da presidente della sezione Misure di prevenzione contro i mafiosi. Anche il marito è detenuto nello stesso carcere.

Il primo ricorso depositato riguarda le condizioni psicofisiche dell’ex magistrato che da tre settimane era ricoverata nella clinica palermitana dove ieri i finanzieri le hanno notificato l’ordine di esecuzione della sentenza della Cassazione. A firmarlo è stata la Procura generale di Caltanissetta. Secondo i legali, i sanitari della clinica non ritenevano che Saguto potesse essere dimessa.

A settembre, dunque prima della sentenza, l’avvocato Reina aveva comunicato alla Procura generale nissena che, qualora il verdetto di colpevolezza fosse divenuto definitivo, l’ex magistrato non sarebbe potuta finire in carcere per il suo precario stato di salute. Stessa cosa il marito. L’esecuzione della condanna, per la difesa, andava e va sospesa. Ora sarà il magistrato di Sorveglianza di Palermo – la competenza si radica nella città dove il detenuto sta scontando la pena – a valutare se le condizioni siano compatibili o meno con il carcere.

Questa mattina la difesa presenterà un incidente di esecuzione alla Procura generale di Caltanissetta. Una questione di natura tecnico-giuridica. I giudici nisseni hanno ritenuto che anche in presenza di una sentenza di annullamento con rinvio, come quella del caso Saguto, l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e il marito potessero finire in carcere nell’attesa di un nuovo processo per determinare la pena.

Il provvedimento richiamato dalla Procura generale di Caltanissetta è una sentenza delle sezioni unite della Cassazione del 2021 che recitava: “In caso di annullamento parziale della sentenza di condanna è eseguibile la pena principale in relazione ad un capo (o più capi) non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento, per il quale abbiano acquisito autorità di cosa giudicata i punti relativi all’affermazione di responsabilità, anche in relazione alla circostanza del reato ed alla determinazione della pena principale, individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione e di immodificabile dal giudizio di rinvio”. Questo ha fatto la Procura generale di Caltanissetta: calcolare la pena per i reati la cui colpevolezza è irrevocabile ed eseguire la sentenza.

Secondo le difese, sarebbe stata fatta una forzatura perché la Cassazione ha reso irrevocabile la questione relativa al reato commesso e non alla quantificazione della pena che solo i giudici d’Appello possono stabilire. Avrebbe potuto farlo la Cassazione, ma ha deciso di fare celebrare un nuovo processo di secondo grado. “Irrituale” viene definita la scelta della Suprema Corte di pubblicare un comunicato stampa sul proprio sito per spiegare che “per effetto di questa sentenza la responsabilità di quasi tutti gli imputati principali è accertata in via definitiva e il rinvio alla Corte di appello è funzionale a rivedere alcune posizioni e a rideterminare le pene”. Un modo per spiegare ciò che nel dispositivo non era stato chiarito, e cioè la possibilità di arrestare i due imputati.