Le pietre dell’Aiola parlano ancora: dopo millenni di silenzio, emergono nuovi indizi sulle cerimonie protostoriche attorno alle sorgenti sacre del lago
BOLSENA – Dopo tre settimane dall’avvio della campagna di scavo nell’area sacra del tumulo dell’Aiola, in località Gran Carro, l’équipe di archeologi della società L’Anfora Srl Archeologia Mare Ambiente, con il coordinamento del Servizio di Archeologia Subacquea della Soprintendenza, ha raggiunto uno dei livelli più attesi: quello delle offerte votive. Un traguardo reso possibile grazie ai finanziamenti stanziati dalla Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (DG-ABAP), che ha sostenuto le attività di scavo.
L’intervento si è concentrato inizialmente sulla rimozione delle grandi pietre che formavano lo strato superficiale del monumento. Solo dopo un meticoloso lavoro di liberazione dell’area, è stato possibile accedere al cuore del tumulo, dove giacevano oggetti di culto risalenti a oltre 3mila anni fa.
Tra i materiali rinvenuti spicca un piccolo manufatto di particolare interesse: un vasetto miniaturistico zoomorfo con beccuccio, forse modellato in argilla cruda. Si tratta di un reperto rarissimo, che trova un confronto diretto con un oggetto analogo rinvenuto nell’area sacra dell’insediamento protostorico sul Monte Cimino, a conferma di una rete culturale e rituale condivisa tra diverse comunità dell’Italia centrale durante l’età del Bronzo finale e la prima età del Ferro.
“Ancora una volta le pietre nascondono offerte di 3000 anni fa sepolte a seguito dei rituali che si dovevano svolgere attorno alle sorgenti sacre sull’Aiola – ha commentato la Soprintendenza in un post pubblicato sui social, sottolineando come le cerimonie che si svolgevano nel sito del Gran Carro condividessero gestualità e forme di espressione religiosa con altri santuari coevi -. Il contesto del ritrovamento è particolarmente significativo. Il tumulo dell’Aiola, già noto per l’eccezionale stato di conservazione, continua a restituire testimonianze uniche della vita spirituale delle antiche comunità che abitavano il territorio lacustre di Bolsena. A differenza di altri siti, dove la presenza di rituali sacri è solo ipotizzata, il Gran Carro conferma con evidenze tangibili la ricchezza simbolica e la centralità cultuale dell’area”.
E le sorprese non sono finite. Le attività di indagine, coordinate in più punti dell’insediamento anche in ambito subacqueo, proseguiranno nelle prossime settimane. Il Servizio di Archeologia Subacquea ha promesso aggiornamenti costanti, alimentando l’attesa per nuovi possibili rinvenimenti che potrebbero ulteriormente arricchire la comprensione di questo straordinario paesaggio archeologico.
Il lago di Bolsena si conferma dunque non solo uno scrigno di bellezze naturali, ma anche una delle aree più promettenti per lo studio delle civiltà protostoriche dell’Italia centrale.