Il solerte presidente della Commissione Trasparenza, Massimiliano Valeriani, invece di convocare subito i vertici della controllata ASTRAL e fare luce sulla vicenda si guarda bene dal tutelare gli interessi dei cittadini
ROMA – Siamo davanti a una pagina nera per Roma e per il Lazio: appalti, asfalto, favori, denaro e potere. Una pagina dove, ancora una volta, la politica arriva per ultima, se arriva.
Nell’avviso di conclusione delle indagini della Procura di Roma — con una chiarezza non comune — viene contestato all’imprenditore Mirko Pellegrini di aver erogato nel tempo contributi elettorali irregolari: 300.000 euro in contanti destinati, secondo l’accusa, al senatore Bruno Astorre, allora segretario regionale del Partito Democratico Lazio, senza che quelle somme transitassero nelle scritture contabili delle società che le avrebbero fornite.
Denaro fuori dai circuiti di trasparenza, non deliberato e non tracciato. È scritto negli atti dell’inchiesta, nero su bianco. Sono contestazioni, da verificare nei processi: ma ci sono. Ed è qui che inizia l’imbarazzo della politica.
La Commissione Trasparenza della regione Lazio guarda altrove
Nel Lazio esiste una Commissione che di nome fa: “Trasparenza e pubblicità”, oggi presieduta da Massimiliano Valeriani, esponente del Partito Democratico.
E qui la domanda è inevitabile: come può una Commissione con questa missione istituzionale, dopo aver visto emergere un’accusa così grave — un flusso occulto di fondi diretti proprio al partito di chi la guida — non sentire il dovere di approfondire?
Non si chiede di sostituirsi ai magistrati, né di anticipare giudizi.
Si chiede solo una cosa: trasparenza, cioè esattamente la ragione per cui quella Commissione esiste. Capire il ruolo dell’Astral. L’ASTRAL, Azienda Strade Lazio Spa, è la società della Regione Lazio preposta alla progettazione, realizzazione, manutenzione, gestione amministrativa di circa 1.500 chilometri di rete viaria regionale.
Fare luce su questi capi di imputazione che riguardano Luigi Costantini “perché, al fine di far conseguire a Mirko Pellegrini ed altri, il profitto derivante dal reato di frode nelle pubbliche forniture di cui al capo seguente, nella sua qualità di pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni – dipendente di ASTRAL – riceveva da Mirko Pellegrini somme di denaro per l’importo complessivo ai € 30.000 per omettere controlli o svolgere controlli mirati sulla regolarità dei lavori stradali compiuti sul cantiere stradale di Leonessa (RI).
E ancora: “perché, agendo in concorso morale e materiale con Mirko Pellegrini e altri soggetti, collaboratori e dipendenti del medesimo, omettendo i controlli dovuti sul cantiere indicato al capo precedente, non impedendo concorreva nella commissione di frode nella esecuzione dei contratti di fornitura conclusi con la ASTRAL consistita nel doloso inadempimento agli obblighi contrattuali ivi previsti ed in espedienti maliziosi e ingannevoli idonei a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti, con particolare riguardo allo spessore del manto di asfalto realizzato (sistematicamente inferiore a quanto richiesto contrattualmente e dichiarato), alla qualità ed alla quantità del materiale impiegato. Con l’aggravante di aver commesso i fatti su opere destinate alle comunicazioni terrestri.”
Detto questo va precisato che il Partito Democratico, in questa vicenda, non risulta indagato.
Il senatore Astorre — che non può più difendersi — non potrà rispondere a quelle contestazioni.
Nulla è definitivo.
Per questo il silenzio istituzionale pesa ancor di più: non difende nessuno, ma protegge l’opacità.
Una politica credibile, quando il proprio nome compare in un atto giudiziario, fa una sola cosa:
→ apre porte e finestre, chiede documenti, convoca audizioni, pretende che ogni centesimo sia spiegato.
Invece qui si assiste all’opposto: uno scarto laterale, lo stesso che da sempre alimenta il cinismo dei cittadini.
Una presunta rete criminale — se provato — avrebbe pilotato appalti pubblici, corrotto funzionari, manipolato controlli, riciclato milioni.
E dentro questo mosaico, tra turbative e favori, appare anche la politica.
Non come vittima, ma come possibile beneficiaria di denaro non trasparente.
Ciò basterebbe, da solo, per far scattare un’allerta democratica.
Oggi il Lazio ha bisogno di una Commissione di Trasparenza che non abbia paura del suo nome e che agisca solo quando politicamente è conveniente per il proprio schieramento.
Che non si fermi di fronte al fatto che la storia coinvolge:
- il gruppo di potere che ha dominato la politica regionale per anni
- un senatore simbolo del PD locale (poi deceduto)
- una rete di imprese oggi al centro dell’inchiesta
Chi ricopre la presidenza di quella Commissione non può sembrare distratto proprio nel momento più cruciale.
Perché la credibilità istituzionale non si difende con il silenzio, ma guardando in faccia i problemi — anche quando sono di casa propria.
La domanda — politica, non giudiziaria — è semplice:
La Commissione Trasparenza intende occuparsi della vicenda
o ritiene che la trasparenza sia selettiva?
Se il fondamento della democrazia è il controllo pubblico del potere, allora questa pagina non può essere archiviata come un fastidio.
Perché il vero scandalo, nel Lazio, potrebbe diventare non ciò che la magistratura contesta, ma ciò che la politica preferisce ignorare.

