E’ il 3 maggio del 2016. All’interno di un carcere il cui nome sul verbale viene omesso per ragioni di sicurezza si trovano i pm di Palermo Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia e il loro collega di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Devono interrogare il pentito Antonino Lo Giudice. Quel giorno il “nano” racconterà loro una serie di fatti di mafia a dir poco inquietanti a partire dal ruolo dei Servizi segreti nelle stragi e negli omicici eccellenti. Ma è su un nome che si concentrano particolarmente i ricordi del collaboratore di giustizia: l’ex poliziotto Giovanni Aiello, da più parti indicato come “faccia da mostro”. Secondo Lo Giudice sarebbe lui un importante trait d’union tra mafia e Stato utilizzato in “operazioni” delicatissime, strage di via D’Amelio compresa. Ma nel verbale che è stato depositato recentemente al processo Borsellino quater (di cui in parte si è già parlato in precedenza) c’è un passaggio che merita ulteriore attenzione. Il pentito racconta ai pm quello che gli avrebbe detto Giovanni Aiello in merito ad un urologo di Barcellona Pozzo di Gotto che lui stesso avrebbe ucciso a seguito dell’operazione di Provenzano in Francia. Il riferimento ad Attilio Manca è del tutto evidente. “Mi narrò (Aiello, ndr) di un omicidio avvenuto in Sicilia prima ancora che venisse arrestato Bernardo Provenzano… questo è un altro fatto… l’ucciso era un urologo che si era prestato di individuare una clinica… una clinica all’estero per fare operare il Provenzano”. A quel punto il pm chiede se è stato Aiello ad uccidere l’urologo. “Si, si – replica Lo Giudice –. E che quando costui fu operato, per non lasciare tracce dietro a quell’operazione, contattò un avvocato di nome Pataffio (presumibilmente Cattafi, ndr) che gli teneva i contatti e lo seguiva nelle sue cose delicate e doveva a sua volta… ah e dove a sua volta gli diede l’incarico ad Aiello per liquidare l’urologo. Il dottore venne strangolato nel suo stesso studio a Barcellona Pozzo di Gotto per conto dell’avvocato e di Provenzano”. Le dichiarazioni di Lo Giudice su Attilio Manca, per quanto inedite in alcuni passaggi che andranno riscontrati, vanno inevitabilmente a corroborare quelle del pentito barcellonese Carmelo D’Amico che a sua volta aveva dichiarato ai magistrati di essere certo che Attilio Manca era stato ucciso dai Servizi segreti. “Poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004 – aveva raccontato D’Amico ad ottobre del 2015 – incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti (condannato a 30 anni quale mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, ndr). Lo incontrai a Barcellona, presso un bar che fa angolo, situato sul Ponte di Barcellona, collocato vicino alla scuola guida Gangemi. Una volta usciti da quel bar Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché ‘aveva fatto ammazzare’ Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della ‘Corda Fratres’, aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto”.
“Rugolo non mi specificò se l’urologo Manca era già stato individuato come medico che doveva curare il Provenzano – si legge ancora nei verbali di D’Amico – e il compito del Cattafi era soltanto quello di entrare in contatto con il Manca, o se invece fu lo stesso Cattafi che scelse e individuò il Manca come medico in grado di curare il Provenzano. Rugolo Salvatore ce l’aveva a morte con Cattafi perché, proprio alla luce di quel compito da lui svolto, lo riteneva responsabile della morte di Attilio Manca che riteneva sicuramente essere un omicidio e non certo un caso di overdose. Rugolo non mi disse espressamente che Cattafi aveva partecipato all’omicidio di Manca ma lo riteneva responsabile della sua morte per i motivi che ha sopra detto. Quando Rugolo mi disse queste cose, io ebbi l’impressione che mi stesse chiedendo di eliminare il Cattafi, cosa che era già successa in precedenza, così come ho già detto quando ho parlato di Saro Cattafi) perché ritenuto il responsabile della cattura di Nitto Santapaola”.
Al di là dei colloqui con Rugolo c’è un’ulteriore confidenza di cui riferisce D’Amico: “Successivamente ho parlato di queste vicende quando sono stato detenuto presso il carcere di Milano-Opera in regime di 41 bis insieme a Rotolo Antonino. Mi confidò che erano stati i Servizi segreti a individuare Attilio Manca come il medico che avrebbe dovuto curare il latitante Provenzano. Rotolo non mi disse chi fosse questo soggetto appartenente ai Servizi ma io capii che si trattava della stessa persona indicatami dal Rugolo, ossia quel Generale dei Carabinieri che ho prima indicato; sicuramente era un soggetto delle istituzioni. Rotolo Antonino, sempre durante la nostra comune detenzione presso il carcere di Milano-Opera, mi disse che Attilio Manca era stato eliminato proprio perché aveva curato Provenzano e che ad uccidere quel medico erano stati i Servizi segreti”.
Ed è proprio nella parte finale delle dichiarazioni di D’Amico che riaffiora la presenza di un esponente dei Servizi dalla faccia brutta. “In quella circostanza – prosegue D’Amico – Rotolo mi aggiunse che di quell’omicidio si era occupato, in particolare un soggetto che egli definì ‘u calabrisi’; costui, per come mi disse Rotolo, era un militare appartenente ai Servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi. Rotolo Antonino mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del ‘Direttore del Sisde’, che egli chiamava ‘U Diretturi’. Rotolo non mi disse come era stato ammazzato Manca, né mi fece il nome e cognome del ‘calabrese’ e del ‘Direttore del Sisde’, né io glielo chiesi espressamente. In questo momento mi sono ricordato che Rotolo, se non ricordo male, indicava il calabrese come ‘U Bruttu’, ma non so dire il motivo, e che era ‘un curnutu’, nel senso che era molto bravo a commettere questo tipo di omicidi”. Il riferimento all’agente dei Servizi soprannominato “faccia da mostro” non è nemmeno troppo velato. Le dichiarazioni di Lo Giudice unite a quelle di D’Amico verranno trasmesse alla Procura di Roma che ha in mano il fascicolo sulla morte di Attilio Manca. Ed è proprio all’Ufficio capitolino che viene imposto un doveroso approfondimento per trovare i riscontri oggettivi a quanto affermato dai due collaboratori. Prima di una vergognosa archiviazione del caso.
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