Hayati Aroyo, 62 anni, era cognato del boss della mafia turca Huseyin Sarai, ucciso a Crotone il 31 gennaio 2005 proprio mentre lui stesso era al volante dell’auto. Conservava anche gli articoli di giornali che raccontavano il fatto nella casa in cui è stato ucciso con 30 coltellate e con l’appartamento poi dato alle fiamme per cancellare le tracce, il 23 luglio scorso a Sesto san Giovanni, nell’hinterland milanese.
Il suo omicidio però, hanno accertato gli agenti della Squadra mobile di Milano, nulla c’entrava con la mafia turca o la criminalità organizzata, ma è stato il risultato di frequentazioni con persone conosciute su siti di incontri e che partecipavano ai suoi festini a base di cocaina.
I poliziotti hanno infatti arrestato moglie e marito di 36 e 38 anni di Busto Arsizio e un albanese di 33, loro amico, autore materiale dell’efferato delitto. Il movente, ancora da verificare, risiede nel fatto che Aroyo avesse un video con la donna che compiva atti sessuali con un altro uomo e potesse diffonderlo. Per questo che quella notte la donna aveva preso appuntamento con la vittima in una casa che ad Aroyo era stata prestata da uno studente che era partito per le vacanze estive.
L’italo-turco quella sera le aveva fatto anche un bonifico per pagare il taxi ma lei aveva preferito risparmiare la somma andando a Sesto San Giovanni con l’albanese. È entrata in casa lasciando aperta la porta per consentire all’uomo di compiere l’omicidio con 30 coltellate, mettere il corpo sul letto e cospargerlo di candeggina per appiccare le fiamme.
Tutto questo mentre il marito della donna faceva da palo, fuori. Dalla casa avevano preso denaro, tre carte di credito, un tablet e il cellulare, ed è per questo che oltre all’omicidio aggravato è contestata anche la rapina.
Hanno poi commesso un grave errore: con le carte di credito della vittima hanno cercato di fare degli acquisti in esercizi commerciali vicini a casa loro e hanno giocato anche in una sala slot.
Scattato l’alert per l’uso abusivo delle carte, le immagini delle telecamere acquisite dalla Mobile hanno consentito l’identificazione della donna e i tabulati suoi, del marito e dell’abanese hanno fatto il resto. Quest’ultimo ha anche fatto davanti al pm di Monza delle ammissioni. Tra le varie intercettazioni dopo il delitto spicca una che dimostra la freddezza della donna durante il delitto: «Avevo paura di provare pietà ma non l’ho provata. Quando guardavo era per vedere se provavo qualcosa, ma nulla».