Latina – Prende il via il processo Dirty Glass. Primo testimone dell’accusa subito in difficoltà

Il commercialista di Pagliaroli, Domenico Stirpe, è apparso insicuro e non di supporto ai pm della Dda Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri (spesso in difficoltà con le domande)

LATINA – Giovedì scorso, presso il tribunale di Latina, è iniziato ufficialmente il processo “Dirty Glass” a carico di di Luciano Ianotta, Luigi De Gregoris, Antonio e Gennaro Festa, i carabinieri Alessandro Sessa e Michele Carfora Lettieri, Pio Taiani e Natan Altomare.

Udienza attesa dopo tante false partenze. Ci si aspettava un certosino lavoro di domande rilevanti da parte di magistrati che sulle spalle hanno la rappresentanza del Direzione Distrettuale Antimafia.

Audizione sottotono. Fatta di piccole contestazioni. Di tanti non ricordo e memoria rinvigorita dal pubblico ministero Francesco Gualtieri che ha cercato di tenere vivo un processo di per sé già morto con la decaduta accusa di sequestro di persona e tenuta in piedi con l’altro reato fantasma della detenzioni di armi.

Veniamo al teste.

Davanti al Collegio penale composto dai giudici Laura Morselli, Paolo Romano e Simona Sergio e ai pm della Dda Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri, ha risposto, come detto, il commercialista della famiglia Pagliaroli, Domenico Stirpe.

Componente del collegio sindacale della società che si occupava di vetri e bottiglie conosciuta in Italia e all’estero. Aveva la base operativa in provincia di Latina in località Mazzocchio, la Pagliaroli Vetri Spa.

C’è da fare una premessa. Il teste ha ripetutamente sottolineato il personale contrasto con il figlio di Franco Pagliaroli, titolare della società presa in cura da Iannotta. Distanze che appaiono piuttosto sospette perché, come avrà modo di sottolineare proprio l’imprenditore di Sonnino, Stirpe non stava su un pero quando era in corso il tentativo di salvataggio della società ma c’era dentro con tutte le scarpe con il suo studio professionale Abate-Stirpe-Ficarola.

Il testimone ha spiegato che a causa delle difficoltà dell’azienda, era necessario procedere con un taglio delle spese e pensare ad un piano di ristrutturazione drastico. Ha ricordato in particolare le spese dei figli del titolare dell’azienda, compreso un viaggio all’estero ma anche la sponsorizzazione ad una società ciclistica oltre a delle spese in gioiellerie di Roma e Latina. Il professionista ha ribadito che la gestione finanziaria della società non era oculata e i soldi venivano sperperati. Si è dimenticato di dire però che lui non ha mai denunciato questa situazione con lo studio ma di questo, probabilmente, dovrà rispondere alle difese la prossima udienza del 23 novembre prossimo.

Ha raccontato che, nel momento di maggiore depressione di Pagliaroli, quest’ultimo si rivolse ad un imprenditore del posto, Luciano Iannotta. Di aver letto la delega durante una delle assemblee o riunioni ma che non fu comunicata alla Camera di Commercio. «Aveva rapporti con dipendenti e fornitori come se fosse amministratore. Diceva che aveva un rapporto con uno studio di consulenza di avvocati e commercialisti di Roma importante per salvare l’azienda, venivano spesso e facevano delle valutazioni».

Il pm ha mostrato a Stirpe la famosa delega chiedendo se fosse in grado di riconoscere la firma: “Non ho dubbi è la firma di Franco Pagliaroli”. Poi il pm gli contesta che quando fu ascoltato come persona informata dei fatti dichiarò agli inquirenti che quella firma era strana e forse non apparteneva all’imprenditore suo ex amico. Insomma era o non era la firma di Pagliaroli che delegava Iannotta?

A quanto pare Stirpe non se l’è sentita di contraddire il pm ed ha lasciato che il dubbio si insinuasse nel collegio ma è durata poco questa suggestione. Già, perché tolto Stirpe e qualcuno che non aveva più la mascherina ma si era dimenticato di togliere i tappi dalle orecchie c’è stato il primo colpo di scena. Deflagrata quando l’avvocato di Luciano Iannotta, Mario Antinucci, ha passato nelle mani dei magistrati l’originale di quella fotocopia che avevano precedentemente mostrato al teste Stirpe. Identica in tutto e per tutto ma su quella mostrata al teste mancava il retro dove c’era l’autentica del Notaio Becchetti.

18-AUTORIZZAZIONE FRANCO PAGLIAROLI

Particolare tutt’altro che irrilevante. Insomma il teste non è stato all’altezza del ruolo che si aspettava l’accusa tant’è che le domande, se non scontate sono apparse del tutto non in grado si sostenere un’accusa di bancarotta.

L’avvocato della difesa Iannotta ha fatto presente come la Procura non avesse provveduto a segnalare al collegio lo stralcio di uno dei capi di imputazioni più pesanti ed infamanti. Il sequestro di persona. Già perché le presunte persone rapite oltre ad aver dichiarato ai giornali la non fondatezza della notizia, hanno ribadito con tanto di Pec agli inquirenti di non essere stati mai ascoltati dai magistrati. Da quanto è emerso nel corso del dibattimento, inoltre, non avrebbero sporto querela di parte come prevede oggi la riforma Cartabia e quindi quell’accusa rimane solo scritta sui fogli e di fatto, salvo ulteriori colpi di scena, non saranno più attinenti al processo.

Per tenere in piedi questa inchiesta e soprattutto questo processo serve quel capo di imputazione e, con la scusa di meglio approfondire il fascicolo, non è stato stralciato con conseguente azione della difesa di denunciare il fatto alla Procura della Repubblica di Perugia per il violato diritto dell’imputato di far valere le proprie ragioni consolidate e cristallizzate dagli atti. Insomma la riforma Nordio appare sempre più necessaria alla luce di quanto si vede ed ascolta.

Stirpe è stato “liquidato” per essere poi richiamato il 23 per dare la possibilità alla difesa di fare l’esame che, per mancanza di tempo, è stato interrotto. Però Luciano Iannotta ha preso la parola per le spontanee dichiarazioni ed ha elencato, documenti alla mano, le tante sviste del teste e soprattutto degli inquirenti che ad oggi, non hanno mai acquisito documenti, mastrini ed estratti conto che dimostrano come sia inesatto il conto di distrazione fatta dal figlio di Franco Pagliaroli e cioè, come dichiarato da Stirpe di circa 500mila euro all’anno ma bensì di circa 4milioni di euro complessivi.

Ovviamente Stirpe non poteva dichiarare il contrario per non mettere nei guai il suo stesso studio che, invece di vigilare, ha lasciato correre su ammanchi evidenti ed ineluttabili.

La presidente del collegio Laura Morselli udito l’intervento di Iannotta e vedendo il corposo materiale in suo possesso ha provato a farselo depositare prima dell’esame di Stirpe ma, difronte alla disponibilità dell’imputato, è arrivato il no del suo legale che presenterà tutti i documenti non appena fatto l’esame e le contestazioni punto per punto alle domande poste dai pubblici ministeri.