“Con Cladribina 93% pazienti non ha ricadute nei primi due anni”
Roma – La sclerosi multipla è una malattia che negli ultimi trent’anni ha cambiato volto. Un tempo era considerata una patologia con una prognosi molto grave per quanto riguarda l’arrestabilità, con uno spettro della sedia rotelle presente nella maggior parte dei pazienti. In questi ultimi trent’anni sono stati fatti passi in avanti, per cui oggi fare una diagnosi di sclerosi multipla, anche grazie a molteplici terapie a nostra disposizione, consente di avere una prognosi completamente diversa”. Così alla Dire il professor Carlo Pozzilli, ordinario all’università Sapienza e responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell’ospedale Sant’Andrea di Roma.
Il neurologo spiega che “si tratta di una malattia che colpisce i giovani, soprattutto le donne con un rapporto anche fino a tre a uno, e l’età della sua comparsa è intorno ai trent’anni” e sottolinea che “sicuramente nello sviluppo della patologia gli ormoni rivestono un ruolo importante. Quando questi ormoni, soprattutto l’estriolo e gli estrogeni, vengono a mancare, in generale si ha spesso una ripresa di malattia e questo è certamente un aspetto da tenere presente. Alcuni studi dimostrano inoltre che la gravidanza ha un ruolo protettivo nelle donne con sclerosi multipla”.
L’esperto prosegue informando che “se non è curata presto e se non viene fatta una diagnosi precoce, la sclerosi multipla può andare incontro a una progressione ma oggi il trattamento precoce con farmaci importanti e attivi riesce a bloccare la malattia anche all’inizio, dopo il primo o secondo episodio”.
Le speranze per una migliore qualità di vita per quanti sono affetti da sclerosi multipla sono arrivate dal World Congress of Neurology, nel corso del quale il professor Pozzilli ha presentato uno studio sulla sua esperienza con il farmaco Cladribina presso il centro dove lavora, il Sant’Andrea di Roma.
“Durante il Convegno-rende noto lo specialista- ho parlato di Cladribina, uno degli ultimi farmaci entrato in commercio, un farmaco per via orale che ha il grande vantaggio di poter essere somministrato per un breve periodo. I pazienti non devono infatti utilizzare questa terapia sempre, in maniera cronica. Molte volte il giovane paziente è spaventato dal dover iniziare una terapia che deve poi mantenere per anni, come avviene ad esempio per la pillola per la pressione. In realtà questa terapia viene fatta per un periodo molto breve e viene poi ripetuta in un secondo ciclo”.
Carlo Pozzilli si dice molto soddisfatto dei dati presentati al Congresso, definendoli “incoraggianti e importanti, soprattutto nei pazienti all’inizio della malattia. Nei primi due anni il 93% dei pazienti non ha avuto alcuna ricaduta della malattia, un dato molto positivo. Bene anche I numeri relativi alla risonanza magnetica, altro parametro importante per andare a vedere l’attività di malattia, ferma nell’82% dei casi. Questo vuol dire che nella maggior parte dei pazienti che avevano iniziato questa terapia, l’evoluzione della malattia si era bloccata sul nascere”.
“I risultati sicuramente più positivi- precisa- li abbiamo registrati nei pazienti che iniziavano la terapia per la prima volta rispetto a quelli che avevano precedentemente sperimentato un’altra terapia, quindi pazienti che passavano da una terapia precedente alla Cladribina. In questo caso abbiamo avuto risultati sempre positivi ma sicuramente di minore efficacia rispetto ai pazienti trattati per la prima volta con questo farmaco”.
Il neurologo del Sant’Andrea si sofferma poi sull’efficacia di Cladribina nel breve e nel lungo periodo, dichiarando di aver “partecipato a numerosi studi registrativi su questo farmaco, non solo il Clarity, quello famoso contro placebo, ma abbiamo utilizzato la Cladribina negli studi nei pazienti al primo episodio. Abbiamo, dunque, ormai esperienza di un gruppo di pazienti trattati da più di 10 anni e i risultati, anche in questo caso, sono molto incoraggianti. Basti pensare che a 10 anni registriamo un 50% di pazienti, quindi uno su due, che non ha avuto né ricadute cliniche né attività alla risonanza magnetica. Se poi ci limitiamo a vedere i dati più a breve termine il risultato è ancora migliore, ma quello a 10 anni è davvero un dato molto importante”.
Quando si parla di sclerosi multipla si fa riferimento alla Scala EDSS, la ‘Expanded Disability Status Scale’, che serve a valutare il grado di invalidità di un paziente. “Quelli coinvolti nello studio presentato al World Congress of Neurology- afferma- erano pazienti che iniziavano con un grado di invalidità relativamente basso. La media era infatti un EDSS pari a 2, il che vuol dire che il paziente presenta segni neurologici, la maggior parte dei quali non è visibile all’esterno. Mi riferisco, ad esempio, a pazienti con sclerosi multipla che si incontrano per strada ma non si riconosce che siano affetti dalla patologia. Siamo dunque in presenza di una scala di invalidità bassa e I dati, sia a lungo che a breve termine, dimostrano una certa stabilità delle EDSS, sia per quanto riguarda la possibilità di non avere ricadute, sia per quanto riguarda quella di bloccare un’evoluzione di progressione silente, che a volte avviene nei pazienti al di là delle ricadute”.
Altro aspetto molto importante per il paziente con sclerosi multipla è il profilo di sicurezza di Cladribina. Il professor Pozzilli assicura che “la mia esperienza, da questo punto di vista, è sicuramente positiva. Non ho osservato effetti collaterali particolarmente rilevanti e quello che emerge dalla letteratura è che in alcuni casi è presente una linfopenia marcata, un valore al di sotto dei 500 linfociti che ho riscontrato solo in casi sporadici e sempre durante il secondo anno di terapia, mai nel primo e avviene circa 2-3 mesi dopo il secondo anno. Comunque, una linfopenia marcata che non ha mai comportato, ad esempio, infezioni importanti o problematiche di altro genere, che invece potrebbe provocare un farmaco potenzialmente di tipo immunosoppressivo”. Relativamente alla sua esperienza quotidiana con le persone con sclerosi multipla, Carlo Pozzilli informa come la pandemia da Covid-19 abbia impattato sui pazienti e sugli stessi neurologi. Lo specialista dichiara che “inizialmente, come per tutti I farmaci immunosoppressivi c’era il timore che un farmaco che abbassasse le difese immunitarie potesse rendere questi soggetti più vulnerabili nei confronti del Covid. Quindi, un Covid peggiore, più grave nei pazienti affetti che utilizzavano la Cladribina. Ciò non si è verificato, a differenza invece di altri farmaci come i monoclonali, farmaci quindi più potenti dal punto di vista immunosoppressivo della Cladribina dove questo effetto di Covid grave non si è visto”.
Pozzilli aggiunge che “d’altra parte è anche vero che sono stati presentati proprio recentemente, in parte anche al Convegno, dati riguardanti il vaccino e la risposta anticorpale nei pazienti con la Cladribina sembra preservata, rispetto a quella di altri farmaci, per i quali si è visto chiaramente che la risposta al vaccino era molto ridotta”.
Il neurologo spiega infine che “da questo punto di vista credo si possano dare due messaggi importanti: il primo è che il farmaco non abbassi le difese immunitarie a tal punto da favorire un maggiore aggravamento di qualsiasi tipo di infezione. Il secondo è che anche la vaccinazione non crea una diminuita risposta. Si tratta, ovviamente, degli ultimi dati. Sono dati recenti che vanno replicati e confermati ma che, al momento, possiamo ritenere positivi”, conclude.
(Agenzia Dire)