Referendum, affluenza al minimo storico: quasi ovunque sotto il 10%. Si profila il flop del quorum

Domenica di voto che si è trasformata in un segnale d’allarme per la partecipazione democratica: i referendum registrano un’affluenza ai minimi termini, quasi ovunque sotto il 10%, ben lontana dalla soglia del 50%+1 necessaria per il raggiungimento del quorum.

Sin dalle prime rilevazioni della mattinata, i dati hanno mostrato un trend preoccupante: poche persone si sono recate alle urne, con alcuni comuni dove si è sfiorato appena il 5%. Anche nelle grandi città, dove spesso si concentra la maggior parte del voto consapevole, la risposta è stata fiacca. Le aspettative della vigilia – seppur non altissime – indicavano una partecipazione perlomeno sufficiente a mantenere aperta la partita del quorum, ma la realtà si è rivelata ben più critica.

Gli osservatori parlano già apertamente di un “flop referendario”. Le ragioni sono molteplici: scarsa informazione, disinteresse generale, campagne deboli e poco incisive, ma anche la mancanza di una mobilitazione politica trasversale. In alcuni casi, i promotori stessi sembrano aver rinunciato a un serio investimento comunicativo, affidandosi più alla spinta di principio che a un reale coinvolgimento dell’elettorato.

Questa situazione rischia di aprire un dibattito più ampio: ha ancora senso, oggi, puntare sullo strumento del referendum abrogativo senza una forte strategia di partecipazione? E, soprattutto, quanto è rappresentativo un risultato che rischia di essere deciso da meno di un decimo degli aventi diritto?

In attesa dei dati definitivi e dell’eventuale conferma del mancato raggiungimento del quorum, l’impressione è che questa tornata referendaria resterà impressa non per i suoi contenuti, ma per il suo sostanziale fallimento. Un’occasione mancata, che rilancia interrogativi profondi sul rapporto tra cittadini e partecipazione democratica.

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