Circa un milione e mezzo di euro: è questa la somma trovata tra la casa di Eva Kaili, ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo, e quella di Antonio Panzieri, l’ex eurodeputato del centrosinistra
Il Qatargate rischia di allargarsi a macchia d’olio. Nel corso della perquisizione nell’abitazione di Bruxelles di Pier Antonio Panzeri, gli inquirenti della polizia giudiziaria belga avevano trovato 600mila euro.
Ma sommando la somma ai soldi che aveva il padre di Eva Kaili e a quelli del compagno Francesco Giorgi, sino a ora l’inchiesta ha portato alla luce più di un milione e mezzo di euro. E’ stato il quotidiano belga Le soir a dare la notizia, pubblicando anche una foto delle mazzette di banconote. Kaili è stata destituita da vicepresidente del Parlamento europeo.
Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, ha definito il Qatargate una ferita aperta per l’Europa e la democrazia. Ancora più duro Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna, candidato a prendere il posto proprio di Letta: “Fuori dal Pd” chi fa gli “interessi privati”.
Dammi il cinque. Quando la sottocommissione ai Diritti umani votò il via libera al libero ingresso dei cittadini del Qatar in Europa, Francesco Giorgi batté le mani con il suo amico Mamedov Eldar in segno di reciproca soddisfazione. Era andata bene. Entrambi presenti in aula, a seguire fino alla fine un provvedimento che avevano accompagnato sin dalla sua ideazione. Del primo, ex assistente parlamentare di e ora di Andrea Cozzolino, ormai si conoscono molte cose. A quella sessione, come a molte altre, era presente anche la sua compagna Eva Kaili, una dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo, che per eccesso di zelo si prese la briga in quella occasione di dare anche lei parere favorevole al provvedimento, senza per altro avvertire il suo gruppo, l’Alleanza progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) che infatti si ritrovò con un voto in più di quelli dovuti e attesi.
Ma quello del secondo è un nome nuovo, con una storia particolare. Nel vasto organigramma dei S&D, «il nostro team» sul sito di riferimento, il cinquantenne Mamedov Eldar, di passaporto lettone e di origine iraniane e macedoni, è presentato come consigliere politico per gli Affari esteri. Secondo alcune fonti, il suo ufficio nel palazzo dell’Unione europea dedicato a Stephen Zweig, l’ex Atrium di Bruxelles, è stato perquisito e sigillato dalla gendarmeria belga. I suoi interessi riguardano però una sola area, da sempre. «Un lobbista iraniano» è la definizione generale di questo personaggio ben conosciuto a Strasburgo e Bruxelles. «Sempre pronto a ripetere la propaganda di Teheran», lo fulmina così un articolo di Aze media, poco lusinghiero nei suoi confronti. «Un promettente diplomatico e analista politico che negli ultimi quindici anni è diventato un inutile agente dei Pasdaran». Gli europarlamentari del gruppo ricordano come ogni volta che uno di loro si esprimeva in termini severi sul Qatar, come noto uno degli alleati principali dell’Iran, Eldar interveniva cercando di ammorbidire la sua posizione. Spesso riuscendo nel suo intento, come dimostra la proposta della Commissione sui visti di ingresso poi congelata dopo gli arresti dello scorso venerdì, che riconosceva «i progressi», così erano definiti nella bozza finale, fatti dal Qatar sui diritti civili.
Tutti i nomi portano a Panzeri, «sospettato di essere intervenuto politicamente presso alcuni deputati europei in favore del Qatar e del Marocco in cambio di pagamenti», così come recita il suo capo di imputazione. Anche quello del diplomatico lettone, che ha condiviso articoli e prese di posizione con il fondatore della Organizzazione non governativa Fight impunity, fondata dall’ex eurodeputato lombardo, lo ha intervistato e si è fatto da lui intervistare. Compagni di idee e vedute convergenti, definizione agli atti di un convegno sul Maghreb che li aveva visti insieme. Eldar suggeriva e disegnava scenari ai deputati che si occupavano dei Paesi del Golfo. Faceva lo stesso, nel senso che identico è il ruolo presso i socialisti europei, anche Carlo Bittarelli, italiano originario di Losanna, pure lui proveniente dagli ex Democratici di sinistra, dei quali fu membro di segreteria della sezione di Bruxelles prima di diventare, correva l’anno 2007, assistente di un europarlamentare di prima nomina, tale Antonio Panzeri. Con il quale ha lavorato fino al 2014, preparandogli i dossier di politica estera. Oggi è rimasto nei dintorni del Parlamento europeo. Sembra che anche il suo ufficio abbia ricevuto le attenzioni degli investigatori belgi. «Il nostro team» qualifica anche lui come consigliere politico, ma di quella sottocommissione sui Diritti umani (Droi) che pare essere il centro di gravità dell’intera inchiesta, il luogo dove convergevano interessi e spinte per aiutare eventuali amici qatarioti.
Sia Eldar sia Bittarelli non risultano indagati. Così come non lo sono Mychelle Rieu, funzionaria della sottocommissione sui Diritti umani, il cui ufficio è stato perquisito ieri, e Giuseppe Meroni, anche lui oggetto delle attenzioni dei gendarmi. Al momento e fino a prova contraria, pagano la vicinanza a Panzeri, la prima in termini di amicizia personale, cosa nota negli ambienti della politica comunitaria, il secondo in quanto anche lui suo assistente storico, prima di passare alle dipendenze di Pietro Bartolo e dell’eurodeputato belga Marc Tarabella, il Mister T indicato come tale dagli inquirenti belgi.
Ogni filo di questo intrigo dai contorni ancora poco chiari riporta alla palazzina di rue Ducale, nel cuore di Bruxelles, a pochi metri dall’ambasciata americana. Perché è dalla sede di Fight impunity che inizia a dipanarsi questo gomitolo. Dalla telefonata fatta da un collaboratore di Panzeri, che voleva sporgere denuncia. Era sempre stato sottopagato, così avrebbe sostenuto. E la circostanza gli sembrava strana, perché intorno a sé vedeva girare molti soldi, anche e soprattutto in contanti. Non per una questione di principio, dunque. Ma per denaro. Come tutta questa storia.