Carcere: “Nessuno tocchi Caino”, bersaglio di Report (Rai3) tramite Mambro e Fioravanti sono le alte corti di giustizia

ROMA – Quando Francesca e Valerio sono usciti da Rebibbia non c’erano i “poteri forti” ad attenderli, c’erano i senza potere, gli inermi, i radicali nonviolenti, pannelliani di Nessuno tocchi Caino.

Fermi nella convinzione della loro diversità dai tempi del delitto e anche della loro estraneità al più orribile dei delitti. Forti della supremazia dei valori costituzionali e universali su i sentimenti popolari di vendetta. Osservanti del diritto-dovere di accoglienza degli ultimi tra gli ultimi: i carcerati.

A ben vedere, la trasmissione infamante della tv di stato – tramite le persone di Francesca, Valerio e Marcello (parlo solo di quelli che conosco) – ha voluto colpire quello che essi, nella loro seconda vita, hanno incarnato: la semplice verità che l’uomo della pena può essere diverso da quello del delitto e il diritto umano alla speranza che non po’ essere negato a nessuno.

In realtà, non sono loro, sono le più alte corti di giustizia, di Strasburgo, costituzionali, di cassazione, a essere imputate di mafiosità, terrorismo, criminalità, le loro sentenze ispirate e votate alla difesa dei diritti umani fondamentali a essere condannate a morte.

Caino non abita da noi, ha occupato la mente, l’animo, il verbo di chi, nel nome di Abele, è diventato Caino. Nel suo pubblico servizio, Report non dispensa verità e conoscenza, pensa solo a male, nutre solo cattivi sentimenti, compie atti malvagi. Come le Erinni, le mostruose figure della notte, anima un potere sotterraneo e oscuro, trama sospetti, sibila maldicenze, semina odio. Con ciò causando danni individuali e sociali incalcolabili. Ma il nostro “Nessuno tocchi Caino” vale anche per loro, per le Erinni della tv di Stato. Perché a tutti, anche a loro, vogliamo che succeda ciò per cui noi lottiamo: la conversione del potere allo Stato di Diritto, a un ordine fondato sul dialogo e la nonviolenza, a una vita fondata sull’amore, a una giustizia temperata dalla grazia.

Sergio D’Elia